Friday, September 28, 2012

#11 Morto Bin Laden, viva la General Motors

Pubblichiamo volentieri l'editoriale di Silvana Mangione (segretaria del circolo Tristate) di "PD cittadini del mondo" di questo settembre 2012 (v. www.pdmondo.it)

Da quando sono negli Stati Uniti ho vissuto nove tornate presidenziali, certamente contrastate, ma nessuna così violentemente insultante e non sempre basata sulla verità dei fatti come quella lanciata dall’ala conservatrice del partito repubblicano.
La battaglia è ad personam prima ancora che fra due convinzioni agli antipodi in materia
economica e sociale. A partire dal giorno dopo l’elezione di Barack Obama, quattro anni
fa, i repubblicani hanno pianificato a tavolino un’escalation di interventi, messaggi, ostacoli, boicottaggi, ampiamente pagati dal mondo della finanza che aspira a tornare alla deregulation più assoluta, dalle grandi sorelle del petrolio e delle energie sporche e dalle multinazionali che hanno esportato posti di lavoro in tutto il mondo, favorendo la crescita del livello di disoccupazione negli Stati Uniti. Consegnato ad Obama nel 2008 un deficit in trilioni di dollari costruito a forza di guerre e tagli alle tasse dei supermilionari da George W. Bush, che aveva invece ereditato il pareggio di bilancio lasciato da Bill Clinton, i repubblicani hanno proceduto per precisi obiettivi da raggiungere uno dopo l’altro: nessuna collaborazione per i primi due anni della presidenza Obama quando tutti e due i rami del parlamento federale erano a maggioranza democratica e il Presidente cercava in tutti i modi il dialogo e la concertazione; conquista alle elezioni di metà mandato della maggioranza nel Congresso e di un numero di seggi al Senato sufficiente ad impedire l’automatica calendarizzazione e approvazione dei disegni di legge promossi dalla Casa Bianca; insediamento di Governatori repubblicani negli Stati chiave per la vittoria alle presidenziali, favorito dalla raccolta di fondi faraonici per le loro campagne elettorali; imposizione in quegli stessi Stati di una nuova mappatura dei distretti e di inedite normative sulle modalità dell’esercizio del diritto di voto, che, di fatto, limitano gravemente la partecipazione della classe media e delle minoranze che sostengono Obama.
Missione compiuta su tutta la linea.
Nel frattempo è nato il movimento del “Tea Party”, che ha progressivamente spostato all’estrema destra il baricentro moderato conclamato – anche se non sempre realizzato – da George W. Bush.
Seppur tratteggiata a grandi linee, questa è la storia che precede la scelta di Paul Ryan, un giovane arciconservatore, come candidato alla Vice Presidenza degli USA, e le due Convention.
Quella repubblicana si è tenuta a Tampa in Florida, lo Stato che derubò Al Gore della vittoria che aveva conseguito su Bush assicurandosi il voto popolare: vi ricordate il tormentone del mancato riconteggio dei voti? Ho seguito l’assise repubblicana, per dovere di informazione, ma sono rimasta delusa nel desiderio di sapere che cosa veramente vogliono fare i repubblicani al di là del tagliare di nuovo le tasse ai miliardari per reinstaurare la “trickle down economy”, che tradotta in linguaggio meno elegante significa che gli invitati alla tavola alta, finito di mangiare, potrebbero anche gettare qualche briciola al quell’85% di americani che possiedono fra tutti poco più del 15% della ricchezza del Paese. Una teoria già messa in atto da Bush e miseramente fallita.
Reiterata la necessità di criminalizzare l’aborto anche nel caso di stupri o incesti, abbiamo scoperto da Romney che il vero nemico dell’America non è il terrorismo, ma la Russia, che gli USA devono riprendere ad usare gli interventi armati per dirimere le questioni internazionali, e che non è necessario che il Governo di una nazione si occupi delle fasce più deboli della popolazione, perché ognuno è responsabile di se stesso, quindi deve pensarci da solo. Per quanto digrada l’assicurazione medica secondo Romney prima di tutto bisogna cancellare l’Obamacare, poi sostituire col tempo il Medicare dando ai cittadini un voucher che contribuisca a far loro comprare un’assicurazione privata.
Se non ce la fanno, peggio per loro. Sto semplificando, ma non posso far di più perché nel suo discorso di accettazione della nomination Romney non ha presentato un reale programma.
Il vero tema di fondo dell’intera Convention è stato l’attacco ad Obama, costante, brutale, spesso ispirato da affermazioni prive di riscontro nella realtà, culminato nella triste sceneggiata di Clint Eastwood, che ha parlato ad una sedia vuota, simbolo di Obama, attribuendogli domande e risposte, ivi compresa qualche parolaccia. Un’occasione perduta per i repubblicani, che hanno bisogno di riconquistare il voto femminile, quello delle minoranze etnico-razziali, quello degli indipendenti.
Il loro punto di forza è e rimane l’elettorato maschile di razza bianca.
Ma l’economia non tira e i sondaggi danno i due contendenti pericolosamente vicini quanto a punti percentuali.
La Convention democratica di Charlotte in North Carolina è stata ben altro.
L’ottima regia ha prodotto un crescendo rossiniano di ridefinizione di Obama come persona e delle sue azioni come presidente, reso necessario dal fatto che questo eccezionale oratore, che ha galvanizzato un intero popolo e mezzo mondo ad osannarlo nel 2008, da quanto si è insediato alla Casa Bianca è stato colpito da un’inspiegabile reticenza nel raccontare i problemi che si è trovato a dover affrontare e le intelligenti iniziative che ha intrapreso per superarli, ivi incluse quelle che non ha potuto portare a termine perché dal 2011 i repubblicani nel Congresso hanno una sola parola d’ordine: se Obama vuole un provvedimento bisogna votare contro anche se è utile alla nazione.
Obama combatte contro la percezione di non aver fatto abbastanza per risolvere il problema della disoccupazione e rischia di perdere del tutto il sostegno dei giovani che furono i vessilliferi, le truppe da sbarco, la presenza capillare sul campo nella sua prima campagna elettorale.
Il tema della Convention è stato quello della contrapposizione fra due modelli di vita: quello repubblicano che cerca di riprodurre un passato reaganiano, condito di inimmaginabili intransigenze, e comunque irripetibile a trent’anni di distanza e quello democratico, impegnato nella ricostruzione dalle fondamenta di una nuova nazione americana, solidale, rispettosa dei diritti dell’uomo e della persona e proiettata verso il futuro.
Lo slogan sulla presidenza Obama è: “Osama Bin Laden è morto e la General Motors è viva”.
Speriamo che basti, ma il giorno dopo la fine della kermesse democratica i dati sull’occupazione sono stati più che deludenti. Mancano meno di due mesi all’elezione.
La battaglia campale è iniziata e va vinta giorno per giorno.

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